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Vittorio Tabacchi su Il Sole 24 Ore: "A fine anno un miliardo di euro di fatturato"

Vittorio TabacchiVittorio Tabacchi, in un'intervista su Il Sole 24 Ore in edicola oggi, parla a tutto campo del passato e del futuro della Safilo: smentisce il suo interesse all'acquisto della De Rigo («E perché mai dovrei farlo?'), si dichiara convinto che a fine anno brinderà a un giro d'affari sul miliardo di euro, contro gli 894 milioni contabilizzati nel bilancio 2002, assicura che entro due o tre anni ribusserà alle porte di Piazza Affari («Una scelta obbligata:le liquidazioni di famiglia mica me le sono andate a rubare in banca ... »), minimizza, ma non sottovaluta, quella che ama definire la febbre gialla di settore («I cinesi puntano sulle quantità, noi sulla ricerca, l'innovazione e la qualità»).

Ma non sono solo numeri e strategie a tenere banco nel passato-prcsente-futuro di Vittorio Tabacchi, presidente del gruppo Sàfilo, marchio d'élite nel campo delle lunettes. Non manca infatti, al neo-cavaliere del lavoro, di scavare nel privato, di soffermarsi sulla passione che lo lega all'arte contemporanea sino al 1950 (ma c'è anche dell'antico, eccome, nelle sue splendide raccolte), di intrattenersi sulla maniacale raccolta di occhiali e reperti antichi, di ripercorrere un sorprendente passato sportivo («Credo di essere stato un buon pilota, ma le mie brave soddisfazioni me le sono prese anche in altri sport»). Per poi abbassare la guardia sui due figli, Massimiliano (ingegnere meccanico) e Samantha (una laurea in marketing e comunicazione internazionale), ai quali ha girato le quote rilevate dai fratelli («A me e a mia moglie basta avere la maggioranza»), credi designati di un impero che in ogni caso li vede già operativi dopo alcune esperienze esterne.

L'azienda può contare oggi su sette stabilimenti produttivi (dislocati a Longarone, Santa Maria di Sala, Pieve di Cadore, Martignacco, Precenicco, Linz in Austria e Ormoz in Slovenia), 26 filiali in altrettanti Paesi, 6.700 dipendenti, 24 milioni di occhiali prodotti, un export attestato all'85% in 130 diverse nazioni, un investimento pubblicitario pari al 9% del fattura to, un portafogli nel quale figurano griffe del calibro, ma è solo un citare, di Gricci e Dior, Valentino e Max Mara, Yves Saint Laurent e Diesel, Bottega Veneta e Carrera, nonché della new entry Armani, una liaison da 225 milioni di euro seguita al divorzio con Luxottica. Senza dimenticare il nuovo magazzino centralizzato, "incorporato" nel quartier generale di Padova, elie a detta dei tedeschi rappresenta una vera chicca a livello europeo.

Questo il presente, ma il passato? «Il 15 marzo 1878 Angelo Frescura, un intraprendente ambulante che gestiva un negozietto a Padova, decise di mettersi a fare occhiali. Questa aziendina sarebbe in seguito passata di mano ' sarebbe cresciuta, per poi fallire sotto la gestione di Ulisse Cargitel. A questo punto entra in scena mio padre Guglielmo che era nato il 15 gennaio 1900 a Solvay (New York), dove nonno Vittorio era emigrato dal Cadore, per poi rientrare in Italia nel 1910 e dedicarsi all'autonoleggio. In questo aiutato anche da papà, il quale sarebbe a sua volta emigrato in Polonia per avviare alcune gelaterie».In effetti Guglielmo, spirito inquieto e intraprendente, si era ben presto reso conto che gli occhiali rappresentavano il futuro. Così decise di vendere i locali a Varsavia e rilevare, congiuntamente ad alcuni soci, quel che restava della vecchia fabbrica di Cargriel, Era il 17 marzo 1934, e due giorni dopo sarebbe nata la Sàfilo, ovvero Società anonima («Oggi ovviamente azionaria») fabbrica italiana lavorazione occhiali.

Lavorando 15 ore al giorno, Tabacchi senior riuscì a riprendere quota sul mercato a dispetto degli alti e bassi del periodo. Così riuscì nel miracolo di trasformare quel piccolo stabilimento in uno dei maggiori su piazza, forte nel 1941 di ben 300 dipendenti. Superato l'ulteriore scoglio della guerra, alla fine degli anni Cinquanta «papà avrebbe provveduto a liquidare i soci, l'ultimo dei quali era un certo Giavi con il quale possedeva visto che anche da grande il suo cuore batteva in gelateria - un negozio in Germania».Intanto il 26 ottobre 1939 a Belluno, «perché l'ospedale si trovava lì», era nato Vittorio, secondo di quattro fratelli: Giuliano era il maggiore, Erminia la terza (ma per tutti solo Nuccia) e Dino il più piccolo. A tenere dietro a questa nidiata mamma Zoc De Curtà Fumei, «colei che aveva firmato il primo bilancio della Sàfilo e che oggi ha 97 anni suonati».

La passione vera di Vittorio era legata allo sport. Nel suo carnet troviamo infatti lo sci («Ho partecipato anche agli europei»), l'hockey su ghiaccio («Ho giocato in serie B»), il bob («Ero un probabile olimpico quando decisi di smettere»), ma soprattutto a fargli perdere la testa erano le quattro ruote, che lo videro diventare addirittura pilota ufficiale della Porsche. A un certo punto il padre, che nel 1964 aveva aperto uno stabilimento a Santa Maria di Sala, dalle parti di Venezia («Qui mi ero già impegnato come responsabile tecnico della produzione»), lo mise però con le spalle al muro: «0 smetti o ti liquido, pensaci bene. Fu quella la notte più lunga della mia vita, passata a interrogarmi sul da farsi e a chiedere consiglio, per telefono, a quella che sarebbe diventata mia moglie qualche mese dopo, Tatiana Amboni, che nemmeno a dirlo diede ragione a papà».

Così il 2 gennaio 1970, con la quafifica di dirigente, Vittorio fece il suo ingresso in azienda, anche se all'ufficio tecnico aveva già lavorato, sia pure a spizzichi e bocconi, dopo aver preso il diploma. Ritrosia iniziale a parte, l'intraprendenza del futuro cavaliere sarebbe stata prenuiata con la nomina quattro anni dopo a consigliere di amministrazione, quindi dal 1974 al 1992 con la carica di vicepresidente e amministratore delegato a fronte di un proficuo percorso nell'attività produttiva.Gli anni 90. «Alla fine del 1992, Giuliano decise di dimettersi dalla presidenza aziendale e di cedermi il ruolo, con l'intenzione di ritirarsi visto che si sentiva stanco. Sarebbero state queste le prime avvisaglie di un cambiamento non certo indolore, proprio mentre mi attivavo per far decollare le filiali estere».

«Una volta guadagnate le redini della società decisi di puntare sul solare, che secondo me rappresentava il futuro. Sino ad allora eravamo infatti concentrati per il 90% sulla "vista". Quindi, nel 1996, fu la volta di un'altra decisione strategica: quella di entrare nel mondo dello sport, dove eravamo deboli o del tutto assenti. Un passo che si tradusse nell'acquisto, ad aprile, dell'americana Smith Sport Optics (che andava bene) e, a luglio, dell'austriaca Carrera (che era fallita). Un colpaccio che ci consentì di entrare da leader mondiali nel campo dello sport, forti di tre milioni e mezzo di "maschere"».Nonostante gli affari andassero bene, non fu tuttavia un periodo facile per il presidente, che si trovava a dover fronteggiare le ritrosie dei fratelli, le cui quotee superavano la sua. 'Verso la fine del 1999 arrivammo ai ferri corti, visto che non venivo appoggiato in quel che facevo, e mi dimisi da presidente. Furono momenti molto brutti per tutti. I dirigenti erano però dalla mia parte. Così Giuliano e Dino, che puntavano all'azione diretta, ('L'azienda è nostra', dicevano), capirono l'antifona e due mesi dopo 'lasciarono'. A questo punto rilevai buona parte delle loro quote nella holding di famiglia Fimit (soltanto il più piccolo sarebbe rimasto nel consigli odi amministrazione), e per semplificare l'assetto proprietario decisi di revocare la quotazione a Piazza Affari'.

(Fonte: Il Sole 24 Ore)

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