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Allarme Cina: la posizione di Cirillo Marcolin, presidente Anfao

Allarme Cina: la posizione di Cirillo Marcolin, presidente Anfao

Nell'ampio dibattito in corso in questi giorni sulla tutela del Made in Italy e sulla lotta alla contraffazione, scatenato dalle dichiarazioni di Umberto Bossi e al quale hanno preso parte il ministro dell'economia Giulio Tremonti, il presidente della Camera nazionale della moda Mario Boselli, e il Viceministro alle attività produttive e plenipotenziario per il commercio con l'estero Adolfo Urso, anche Cirillo Coffen Marcolin, presidente di Anfao, ha rinnovato la posizione ufficiale dell'associazione dei produttori e le richieste già più volte avanzate in passato.

Cirillo Coffen MarcolinIn un'intervista rilasciata al Corriere Economia, Marcolin ha dichiarato: 'Mi chiedo come mai un produttore italiano di occhiali debba pagare dazi per esportare in America o in altri Paesi extra Ue quando, sul nostro mercato interno, entrano non solo prodotti di bassa qualità, molto spesso addirittura prodotti contraffatti, cosa particolarmente grave per i danni alla salute che lenti false possono provocare'.

'Sarebbe auspicabile', ha precisato Marcolin, 'che i dazi non ci fossero, ma visto che così non è, mi domando allora perché anche l'Italia non possa assumere azioni di maggior tutela alle frontiere. Non chiediamo di frenare la libera circolazione delle merci con barriere protezionistiche, ma di far rispettare alla Cina gli impegni che ha assunto entrando nel Wto. Si devono studiare provvedimenti, soprattutto in sede europea. Purtroppo', ha concluso, 'il fenomeno non si arresta, anzi diventa ancor più grave perché legato al fenomeno della contraffazione dei marchi. Addirittura i cinesi si sono inventati il marchio CE che non significa Comunità Europea ma China Export'.

A tal proposito Boselli ha chiesto una mobilitazione europea che porti alla creazione di gruppi specialistici, per settori merceologici o per macro-settori, che indaghino preventivamente sui fenomeni di dumping sociale ed ecologico e applichino dazi mirati, e porterà la proposta al consiglio della Camera della moda.

Adolfo UrsoAdolfo Urso, che sui dazi doganali è dello stesso parere di Marcolin (è sbagliato pensare di alzare i dazi doganali in Italia ma sarà importante abbassare le tariffe doganali che ostacolano le esportazioni europee), porterà al vertice della Wto, dal 10 al 15 settembre a Cancun, Messico, un pacchetto di diverse iniziative politiche, diplomatiche e di legge. 'Il punto di partenza è un dato di fatto: le merci italiane sono le più imitate e contraffatte nel mondo', ha dichiarato Urso in un'intervista a Panorama. 'L'Italia è talmente sinonimo di qualità che basta mettere sulle confezioni un nome italiano o una bandierina tricolore perché il consumatore accetti di pagare dal 30 al 70% in più. In luglio l'Ue ha accettato la proposta italiana di rendere obbligatorio il marchio di provenienza. Per l'Europa, made in Ue. [...] In vista di questo passaggio nella Finanziaria, o in un provvedimento collegato, dobbiamo prevedere che accanto al marchio Ue, obbligatorio, le aziende che producono in Italia possano mettere, se lo desiderano, anche la parola Italy'. E allo stesso modo, 'sarà obbligatorio il marchio made in China per le merci cinesi. Ciò semplificherà i controlli sulla qualità e la sicurezza dei prodotti'. Urso ha poi parlato del sostegno all'innovazione: il rinnovo del campionario nel settore tessile e moda deve essere considerato alla stregua dell'innovazione tecnologica e deve quindi essere sostenibile con un finanziamento pubblico. La proposta del Viceministro per il 2004 è di stanziare almeno una ventina di milioni di euro.

Ricordiamo che il dibattito in atto è stato scatenato delle dichiarazioni del leader della lega Nord e Ministro per le Riforme Istituzionali Umberto Bossi, che nel suo tradizionale comizio di Ferragosto a Ponte di Legno, aveva proposto un maggior protezionismo a tutela delle imprese italiane contro la concorrenza cinese.

Giulio Tremonti, era poi intervenuto dalle pagine di Panorama auspicando che l'Europa si comportasse come gli Stati Uniti, ovvero proteggesse il mercato interno e la produzione nazionale anche con strumenti indiretti, come i controlli alimentari, sanitari, ambientali e di tutela sociale sui prodotti in arrivo dall'Estremo Oriente.

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