Belluno, la Provincia chiederà 10 milioni di euro per aiutare l'occhialeria
La Provincia di Belluno propone alla Regione e al governo di sovvenzionare il settore dell'occhialeria, per battere la concorrenza internazionale.
In una lettera indirizzata al ministro delle finanze Giulio Tremonti, al sottogretario Aldo Brancher e al presidente della Regione Giancarlo Galan, nonché ai politici bellunesi che siedono alla Camera e al Senato, il presidente della Provincia Oscar De Bona e la presidente del consiglio provinciale Daniela Larese Filon hanno proposto infatti un piano quinquennale per aiutare le piccole e medie imprese. La cifra che servirebbe sarebbe di 10 milioni di euro, una somma non certo esagerata, visto che di mezzo c'è il futuro di un comparto che nel 2002 ha prodotto 1.859 milioni di euro e che esporta per 1.562 milioni.
Le grandi industrie dell'occhiale, che sono poche e non soffrono la crisi, fanno produrre ogni anno in Oriente, a prezzi stracciati, 30 milioni di pezzi.Se anche solo 3 o 4 milioni di questi pezzi fossero «restituiti» al distretto bellunese, le 650 aziende artigiane che oggi annaspano, con i loro 1.700 addetti, potrebbero superare le difficoltà.
Ma se non si può imporre alle multinazionali di pagare di più per un lavoro che invece può costare di meno, si può invece incentivare la scelta, pareggiando le condizioni di mercato. «Se lo Stato stanziasse 10 milioni di euro, per abbattere da 10 a 7 euro il costo di ogni pezzo prodotto a Belluno, il lavoro potrebbe restare nel nostro distretto».
E' questa la proposta di De Bona e di Larese Filon. Un'idea che farà storcere il naso ai liberisti più convinti e ai fedeli del mercato globale. «Ma solo così», spiegano da Palazzo Piloni, «le piccole e medie aziende dell'occhiale avrebbero la possibilità di recuperare il calo di ordinativi dell'ultimo periodo e di predisporre un piano quinquennale di risanamento o di riconversione industriale». Sì, perché - particolare non trascurabile - la mano pubblica non dovrebbe fare una "toccata-e-fuga" ma garantire il suo appoggio al settore per cinque anni. Aggiunge De Bona: «In questi ultimi anni si è investito molto e bene sul materiale umano, con corsi di formazione ed una generale riqualificazione degli addetti. Ora è necessario investire direttamento sul prodotto».
E se non passasse quest'idea, la Provincia ha già pronta un'alternativa, importata da Treviso. Il sistema-moda della provincia vicina ha messo a punto un'apertura di credito agevolato nel campo dell'organizzazione distributiva e commerciale, coinvolgendo le banche, finanziando progetti per lo sviluppo commerciale dei marchi, spingendo sul pedale dell'internazionalizzazione, cercando nuove fonti di approvigionamento, incentivando la ricerca. «Ma un primo passo», concludono De Bona e Larese Filon, «potrebbe essere la tutela del Made in Italy e l'obbligatorietà del marchio che indichi il paese d'origine, in grado di caratterizzare i nostri prodotti e di difenderli dalla concorrenza».
Secondo Renato Sopracolle, presidente di Sipao, per far fronte alla crisi sarebbe necessario che la regione uscisse dalla monocultura dell'occhiale. "E' vero che le grandi aziende danno sempre meno lavoro all'esterno. Questo significa che neanche loro stanno poi così bene. Purtroppo le regole del mercato non si possono cambiare. Ci sono dei vincoli economici da rispettare. Non si può certo condannare un'azienda soltanto perché decide di spostare delle lavorazioni nei paesi dove il costo della manodopera è inferiore". "Il Cadore", aggiunge Sopracolle, "deve iniziare a pensare seriamente alla riconversione della propria economia. Io sono generalmente ottimista, ma devo ammettere che la situazione è drammatica. Credo che le piccole aziende non possano più aspettare la ripresa economica".
(Fonti: Corriere delle Alpi - Il Gazzettino ed. Belluno)


