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Bergamo, le lenti intraoculari rappresentano il futuro contro l'ipovisione

Si chiamano «lentine intraoculari» e rappresentano forse il futuro dei problemi di ipovisione. O meglio, di alcuni casi scelti, altamente selezionati, quando cioè la patologia degenerativa maculare è evoluta e stabilizzata. Si interviene allora nella sostituzione del cristallino del paziente utilizzando due lentine particolari, una biconcava che viene posizionata nel settore posteriore ed una biconvessa che trova posto nel settore anteriore.

Certo è che questo tipo di intervento - al quale deve comunque seguire un training di riabilitazione lungo e faticoso per rieducare l'occhio a vedere in maniera nuova - non risolve il problema retinico, ma aiuta sicuramente il paziente ad avere una vita migliore.Ne sono certi agli Ospedali Riuniti di Bergamo, una fra le prime strutture a livello nazionale che hanno fatto propria questa tecnica evoluta, applicata in collaborazione con l'Università di Milano presso l'Ospedale San Paolo.

«È una metodica innovativa - spiega il dottor Stefano Zenoni, responsabile dell'Unità operativa di oculistica - che possiamo eseguire su un numero ridotto di pazienti, altamente selezionati. E non si tratta di sperimentazione. È frutto di una ricerca clinica applicata, sempre in evoluzione, sia dal punto di vista tecnico, cioè sul fronte dei materiali, che dal punto di vista chirurgico».

Poi - aggiunge - «vanno considerati gli aspetti psicologici del paziente, mai secondari, nonché l'efficacia della riabilitazione. Il futuro sviluppo di questa tecnica è presumibilmente la sua applicazione anche a pazienti affetti da miopia elevata, associata a degenerazione miopica atrofica maculare, cioè per coloro che non godono di una visione centrale».

Che le lentine intraoculari nel trattamento dell'ipovisione siano un traguardo lo dimostrano i vantaggi che queste portano con sé. Per esempio permettono un'osservazione ottimale della retina stessa in caso di intervento. Inoltre ridanno una visione grandangolare e non comportano tutta una serie di problematiche legate ad altri tipi di tecniche, che rimangono - va ribadito - le uniche possibili per alcuni pazienti ipovedenti.

Il riferimento è all'uso dei presidi intraoculari di tipo telescopico, interni o esterni che siano, che ridanno sì una visione ai pazienti ma di tipo, per così dire, «tubolare», a cannocchiale, con disturbi vari, soprattutto legati all'equilibrio, e che rendono oggettivamente più difficile - in caso di bisogno - l'intervento chirurgico sulla retina.

Quindi potremmo citare la chirurgia vitreoretinica, con i suoi due tipi di approccio. L'uno in cui viene rimossa chirurgicamente la membrana neovascolare. L'altra, più complessa, che comporta la traslocazione della macula, cioè lo spostamento della retina deputata alla visione distinta in un settore dove non è presente la membrana neovascolare.LA DEGENERAZIONE MACULARE - Perché il problema è proprio questo. La degenerazione maculare senile interessa il segmento anteriore dei pazienti ipovedenti, definiti così perché capaci di un campo visivo molto ridotto, non superiore al 10 per cento.

Le cause sono legate all'età, ma ci sono anche fattori predisponenti, di tipo genetico, fattori vascolari, magari associati ad alterazioni alimentari. «Certo è - spiega il dottor Zenoni - che al momento dell'insorgere della malattia bisogna iniziare a studiarne l'evoluzione, magari per ipotizzare un intervento Argon Laser o un trattamento fotodinamico, mediante l'utilizzo di sostanze che si legano elettivamente a questi vasi neoformati, su cui agisce il raggio laser».

A Bergamo ogni possibile intervento è preso in considerazione, perché l'analisi e lo studio della malattia è continuo e meticoloso, anche grazie al lavoro di osservazione dei casi operato dal Centro regionale di ipovisione e riabilitazione visiva interno all'Unità operativa di oculistica. Si tratta di una struttura realizzata circa due anni fa e ormai punto di riferimento per tutti coloro che hanno problemi di ipovisione, basti pensare che ad oggi sono stati seguiti oltre cinquecento pazienti, di cui un centinaio in età pediatrica.

(Fonte: L'Eco di Bergamo)

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